Titolo: 250° anniversario della fondazione di Villarosa Inserito da: un amico al bar - 22 Maggio 2012, 09:31:01 250° anniversario della fondazione di Villarosa
Una festa senza festa Il 10 Aprile 2012 si è celebrato il 250° anniversario della fondazione del nostro paese. Questo evento suggerisce numerose considerazioni. La prima che mi viene in mente riguarda le origini, quando nel 1761 il nome di San Giacomo di Bombinetto venne modificato in Villarosa,in omaggio alla pittrice ed architetto nissena Rosa Ciotti e quando, nel 1762, l'attuale centro nacque grazie all'opportuna licentia populandi, ad opera del nobile Duca Placido Notarbartolo. Diciamo la verità, immersi come siamo in una società che “consuma”così rapidamente gli eventi, da mandarli nel dimenticatoio dopo qualche settimana se non dopo pochi giorni, un fatto accaduto 2 secoli e mezzo fa pare appartenere ad un’era preistorica. Ma così non è, perché pur con i suoi 250 anni, Villarosa è un paese giovane. Giovane ma temprato. Da cosa? Dalla difficile e spesso drammatica transizione da paese contadino con tassi di analfabetismo superiori al 90% della popolazione e di mortalità tra giovani e giovanissimi a paese scolarizzato dove ogni famiglia non deve più piangere qualcuno dei suoi piccoli portati via dalla fame o dalle malattie. Temprato, ancora, dalla partecipazione a due guerre mondiali e dal loro lascito di macerie materiali e morali. Guerre a cui anche le nostre donne, i nostri ragazzi, i nostri uomini hanno dato il loro contributo a vario modo, molto spesso rischiando e perdendo la vita e se non quella, tutto quello che in una vita erano riusciti a mettere da parte, affinché la libertà e la democrazia tornassero ad abitare le nostre terre. Un’altra considerazione riguarda la discussione sull’anniversario. Essa andrebbe messa al riparo da due rischi, opposti per quanto simmetrici: una generica retorica che tralascia le questioni e i nodi che pure esistono ed un’inconcludente lamentazione. L’una e l’altra “pista” non aiuterebbero il paese a celebrare il suo 250° compleanno ed a preparare i prossimi …250 anni, cioè a guardare con la mente sgombra da paure e da pregiudizi come rispondere a vecchie e nuove sfide. Un’ultima, brevissima, annotazione: registro con rammarico quanto poco - giovani e meno giovani – sappiano e conoscano della nostra storia, degli uomini e delle vicende che hanno accompagnato la nascita del paese e poi la sua esistenza, le tappe gloriose e gli episodi ingloriosi. Servirebbe uno sforzo corale delle istituzioni e di tutte quelle “agenzie”che incrociano la formazione e l’informazione delle nuove generazioni per porre rimedio a questo deficit che rischia di avere riflessi negativi anche su quello che, con linguaggio forse non di moda, è l’amore per il proprio paese. Ancora più grave è il fatto che di fronte alla valutazione dei 250 anni dalla nascita del nostro paese è venuta a mancare una riflessione sul nostro futuro collettivo. Tutti gli occhi sono rivolti al passato con l’orgoglio di quello che abbiamo fatto. Di anni a venire non si parla. Al massimo si prevede una triste prosecuzione dei mali presenti. Questa nostra società narcisistica che vive di solo presente o di malinconica nostalgia ha rimosso il futuro e la cosa che più preoccupa è che ciò è stato fatto da tutti noi. Ecco perché è inevitabile che il futuro non entri nei nostri discorsi. Se infatti il 250° anniversario è considerato come un evento “una tantum”, solo da ricordare, allora si mette in ombra il processo di evoluzione di ognuno di noi. Così se questo evento è un traguardo perseguito da pochi si mette in ombra il fatto che esso ha coinvolto e coinvolge migliaia di persone in continua evoluzione. Ormai è noto a tutti che noi siamo andati avanti, in questi due secoli e mezzo, non su modelli costruiti come la programmazione, ma su una disordinata vitalità di base e grazie ad un popolo che lavorando sodo ogni giorno è uscito dalla povertà ed ha costruito uno sviluppo collettivo impensabile. Ed è questa profonda forza vitale che costituisce l’eredità che l’attuale generazione deve trasmettere alle prossime. Non perché la conservino tale e quale, ma perché la trasformino in libertà di costruire l’avvenire. Sapendo che essa è declassata spesso in patologica soggettività dell’individuo; sapendo pure che nel nostro collettivo ci sono tutte le risposte alle nostre domande. Da esso proveniamo e su di esso ci giochiamo il futuro. Auguri, Villarosa Un amico al bar
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