osvaldo
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Villarosano DOC
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« inserita:: 07 Gennaio 2008, 22:12:11 » |
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U PARRINU BAGASCIU Scrivere di fatti riguardanti persone viventi o da poco scomparse è sempre difficile. L’ha potuto fare Vincenzo De Simone parlando dei suoi zii parrini, non solo perché trattavasi di cose di famiglia, ma soprattutto perchè su di loro in Villarosa “si raccontavano storielle boccaccesche da farne un libro”, quindi erano di già fattacci pubblici che a tacerli sarebbe stato cumu ammucciari u suli cco crivu. Lo zio parrino più giovane s’era fatto prete anche perché lo era già il fratello della madre, ma i due risultarono uno più degno dell’altro. Vissero beffando e ridendo: il più anziano diede maggior scandalo in quanto incauto una volta si fece trarre in una trappola, degna d’essere descritta dalla penna d’Aristofane: fu inseguito nudo e bastonato per le vie del paese, e per poco non ci rimise la pelle. De Simone conobbe il più giovane degli zii, e lo ricorda “morto, dentro il suo sarcofago scoverchiato, sul catafalco, a pie’ dell’altare maggiore della Matrice, col camice bianco e la pianeta a fiorami d’argento e il calice d’oro fra le mani….” Già prima di morire, e ben cosciente dell’inevitabile fine, a chi andava a visitarlo e gli chiedeva come si sentisse, rispondeva ridendo di gusto: “Chiccirichì!...”. Diceva d’aver sette malattie: ad ognuna che elencava seguiva un sonoro “Chiccirichì!...”; dell’ultima diceva che si trovava in un posto che non poteva ripetere… a uàddara. Non senza un valido motivo mi sono soffermato nel riprendere questa pagina dell’opera del De Simone “Bellarrosa: uomo serio”, perché forse questo stesso personaggio potrebbe essere quello di cui sentivo spesso parlare, al passato, quand’ero ragazzo: u parrinu bagasciu. Il nomignolo non mi convinceva tanto e così finiva che non chiedevo spiegazioni, temendo di essere considerato un pivello. Che non doveva essere un qualcosa di buono era per me una certezza, ma trovavo più logico che fosse stato soprannominato “bagasciri”, in quanto nel contesto in cui lo sentivo nominare corrispondeva proprio a questo. Molto avanti nel tempo, una sera a metà degli anni ’60, mentre mi trovavo al bar Centrale in compagnia del compianto avv. Adriano Termine di Enna, si avvicinò per salutarlo il signor Pietro Conoscente, che insistette tanto ad offrirci un caffè. Si cominciò a parlare di antiche cose di Villarosa, che Adriano conosceva bene in quanto il padre era stato, nei tempi d’oro del nostro paese, capo contabile d’un importante miniera. Il Conoscente fra l’altro ci raccontò come nacque il loro soprannome di famiglia, in verità sempre accettato di buon grado, Liùni. Glielo aveva appioppato su due piedi al padre quand’era ancora giovane, un prete villarosano, noto in paese per il suo ben noto costume per nulla castigato. Il Conoscente non si scompose più di tanto e di botto rimandò: “ Va bbeni ì sugnu Liùni, ma vossì jè u Parrinu Bagasciu” Come avveniva di solito a quei tempi all’istante si formarono “fotograficamente” due nuovi soprannomi, ngiulii nel nostro dialetto: Liùni e Parrinu Bagasciu. Di quest’ultimo nomignolo non ho trovato nessuna fonte scritta, né altre notizie verbali al di là del soprannome che è tutto un ritratto morale del personaggio. È lui uno dei due zii “parrini” di Vincenzo De Simone? Non ci è dato sapere. Gradirei che qualche concittadino che avesse sentito dire qualcosa in più di me, riuscisse a completare questo quadretto tipico della società dei tempi in cui una parte del clero, allora numeroso e benestante, spesso dava scandalo alla luce del sole.
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