Quando parliamo di minatori a
Villarosa la mente corre allo zolfo, al boom dell’800 e alla crisi del
dopoguerra. Riguardando alle foto si ricordano le migliaia di minatori
villarosani partiti dopo la fine della seconda guerra mondiale verso il Belgio,
dove nel corso dei 50 anni a venire andranno a costituire una delle comunità
più stabili del regno. La foto di questo mese ci porta il loro ricordo.
Ma la loro storia ha un inizio
storico, il loro sacrificio, il loro sudore e la loro tragedia hanno un prezzo
onorevole. La partenza delle migliaia di villarosani, insieme ad altre centinaia
di migliaia di italiani, contribuirà indirettamente a far rinascere l’Italia
dalla pesante distruzione della guerra. Nel ’46 la nostra giovane Repubblica siglò
con il Belgio l’accordo uomo-carbone. Il Belgio distrutto dalla guerra doveva
estrarre il carbone dal suo ricco sottosuolo, ma i belgi non avevano alcuna
voglia di scendere nelle viscere della terra a rischiare la vita dove prima
provvedevano i prigionieri di guerra. Fu cosi che il bisogno di energia
dell’Italia e quello di manodopera del Belgio confluirono nell’accordo del 1946
che prevedeva l’invio di un contingente iniziale di 50.000 italiani che
sarebbero diventati 100.000 nel giro di un anno. In cambio l’Italia poteva
comprare il carbone necessario alla sopravvivenza del Paese. L’accordo vide la
firma di De Gasperi con l’esplicita approvazione di Togliatti e Nenni. Fu cosi
che in Italia partirono le campagne di reclutamento degli aspiranti minatori
che avrebbero raggiunto il Belgio. […]
L’Italia si era impegnata a
fornire 2.000 uomini a settimana e cosi fu. Si arrivava a Milano e da qui in
treno per 72 ore sino a Charleroi.
Il viaggio era più vicino a
quello dei deportati che a quello di un gruppo di emigranti. Vagoni senza
servizi igienici e senza riscaldamento. Era questo il massimo che le Ferrovie
italiane potevano fornire in quegli anni. Le famiglie? Le famiglie nella fase
iniziale non potevano emigrare. Gli italiani erano considerati di serie B, non
assimilati ai lavoratori belgi, per cui solo dopo una permanenza duratura
avrebbero potuto chiamare le proprie famiglie. […]
A destinazione, solitamente in
una caserma della Gendarmeria, venivano disinfettati e quindi inviati ai propri
alloggi. In Belgio faceva freddo e i nostri paesani non avevano coperte o
cappotti per superare gli inverni rigidi della Vallonia. […]
I primi villarosani giunti in
Belgio in quegli anni parlano di alloggi ricavati nelle camerate di diversi
campi di prigionia dell’ultima guerra. Durante la seconda guerra mondiale si
erano alternati in quelle baracche prima russi e polacchi e poi tedeschi. A
guerra finita nei medesimi ambienti vi finirono gli italiani. Alcuni
villarosani raccontano anche di cantine nelle quali venivano alloggiati in quanto
il posto in queste baracche non era sufficiente.
La vita fuori dalla miniera era
misera. I soldi del salario servivano a sopravvivere e inoltre la lingua
francese non era conosciuta ai più. Gli italiani erano puntualmente insultati
con diversi appellativi “musi neri”, “fascisti”, “maccaroni”. L’integrazione
con i belgi era quasi nulla. In questo modo i villarosani fecero comunità in
quel luogo che voleva isolarli. Si vedevano a fine turno, si riunivano nelle
baracche o presso i primi alloggi che vennero assegnati anche nei villaggi
vicini.
La vita lavorativa non facile
nelle miniere, con condizioni estreme e senza sicurezza, costrinse molti
villarosani a fare dietro-front e a chiedere di tornare in Italia. Ma questo
non era possibile, se non a certe condizioni. Per cui in molti fuggivano da
Charleroi e si avviavano verso Bruxelles o Namur dove venivano quasi sempre
presi dalla Gendarmeria che gli dava la scelta di restare o tornare in Italia,
ma non prima di aver scontato una pena detentiva in carcere di 5 anni. Il
contratto doveva essere rispettato. […]
Il lavoro nelle miniere non era
facile; era duro, si lavorava su turni massacranti, la profondità dei pozzi, il
tipo di lavoro, anche per chi era minatore a Villarosa, fu uno shock difficile
da superare. Spesso in miniera si moriva come nella tragedia di Marcinelle nel
1956. Ma un dato fra tutti, del 1953, deve lasciar riflettere: erano infatti
già 200 le vittime italiane nelle miniere di carbone tre anni prima della
tragedia che renderà famoso il lavoro italiano nel mondo e poco si era fatto
per aumentare la sicurezza dei minatori.
Nel 1948, almeno da un punto di vista
della vita familiare era avvenuta la svolta: si poteva emigrare con la
famiglia. Le grandi baracche degli ex campi di prigionia vennero ben presto
modificate per ricavarvi alloggi familiari dando la possibilità agli italiani
di vivere con le proprie famiglie limitando di fatto le fughe e l’impatto
negativo dell’allontanamento dal proprio Paese.
In quelle baracche attorno a Charleroi
si costituì la prima comunità villarosana. C’erano scuole, la chiesa e soprattutto si
lottava per tenere vivo il ricordo del proprio paese celebrando in piccolo le
feste patronali.
I minatori al rientro dai turni di
lavoro ritrovavano almeno un quadro familiare che aiutava il morale. Questa
concessione venne accompagnata anche dalla possibilità per i ragazzi di età non
inferiore ai 14 anni di entrare in miniera. Fu cosi che nacquero le prime
famiglie di minatori in grado di racimolare il denaro sufficiente al rientro in
Italia o meglio ancora all’acquisto di una casa nei paesi attorno al bacino
carbonifero di Charleroi. […]
Così con il sacrificio di questi
nostri paesani che abbandonarono miseria e povertà rinacque l’Italia del boom ed
a migliaia chilometri di distanza si creò una nuova Villarosa. Chi emigrava
sognava di tornare, ma la gran parte come accaduto nelle ondate migratorie
precedenti, resterà in Belgio. […]
Dal 1946 al 1958 emigreranno in Belgio
140.000 uomini, 17.000 donne e 29.000 bambini, successivamente l’ondata di
emigrazione resterà costante e dalle miniere l’interesse dei villarosani si
sposterà anche su altri mestieri altrettanto pesanti come le fonderie che erano
appannaggio di chi scappava dalla fame del latifondo e dalle campagne. La
comunità troverà i centri principali di insediamento a Liegi, Charleroi, La Louviere, Verviex e
naturalmente Morlanwelz, ma nessuna città belga resterà esente dalla presenza
di cittadini villarosani.
Per gentile concessione a Villarosani.it da
Sergio Distefano
Tratto da Cronache Villarosane, 2006, Sergio Distefano ogni diritto
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